Joseph de Maistre tra pseudoscienza e teoria del complotto

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Joseph de Maistre, nato nel 1753 a Chambéry in Savoia (allora facente parte del Regno di Sardegna), non solo fu il principale teorico della Restaurazione, dopo gli eventi della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico, ma si oppose anche alla maggior parte delle novità scientifiche dell’età dell’Illuminismo. Il suo fu un articolato attacco nei confronti della modernità, la quale a suo avviso, sempre più svincolata dall’autorità religiosa e dalla tradizione, metteva in discussione l’ordine delle cose fissato da Dio. Per questo motivo anche le monarchie legittimamente ricondotte sul trono dovevano riconoscere l’autorità della chiesa cattolica, modello supremo di governo ben temperato, secondo la tesi formulata nel celebre Du Pape (1819).

Un compendio del pensiero di de Maistre è costituito da Les soirées de Saint-Pétersbourg, ou Entrétiens sur le gouvernement de la Providence, opera che fu pubblicata postuma a Parigi nel 1821, subito dopo la morte dell’autore, avvenuta il 26 febbraio. Il testo, nato durante il lungo soggiorno a Pietroburgo (1803-1817), dove egli svolse le funzioni di ministro plenipotenziario del re di Sardegna presso lo Zar, consiste in una approfondita meditazione sul cristianesimo, sulle conseguenze del peccato originale e, soprattutto, sul ruolo della Provvidenza nella storia.

L’analisi critica delle conoscenze scientifiche dei moderni e, in particolare, di quel complesso di discipline nate alla fine del Settecento, dalla chimica all’elettrologia, occupa un ampio spazio all’interno delle riflessioni dell’intellettuale savoiardo. Secondo de Maistre, la vera scienza non poteva basarsi su dati sperimentali e sull’uso di metodi quantitativi volti alla conoscenza del mondo sensibile ma, al contrario, doveva essere fondata sull’intuizione, rappresentando semplicemente il riflesso di un superiore ordine di tipo spirituale. Esempi di questa vera scienza erano senz’altro individuabili studiando attentamente le prime età del mondo: «su questo punto sono tutti d’accordo: gli iniziati, i filosofi, i poeti, la storia, la leggenda, l’Asia e l’Europa hanno una sola voce. Un simile accordo della ragione, della Rivelazione e di tutte le tradizioni umane costituisce una tale dimostrazione che può essere contraddetta solo a parole. Gli uomini quindi non soltanto hanno cominciato con la scienza, ma con una scienza diversa dalla nostra e ad essa superiore, perché partiva da un punto più alto, il che la rendeva anche molto pericolosa. E questo vi spiega come mai la scienza, al suo inizio, fu sempre misteriosa e restò chiusa nell’ambito dei templi, dove infine si spense quando questa fiamma non poté servire ad altro che a bruciare» (p. 74). È il celebre tema dell’antica sapienza, caro alla tradizione ermetica, ma anche a scienziati come Newton (cfr. Query n. 11). Per de Maistre, esempio classico di antica sapienza erano «le piramidi d’Egitto, rigorosamente orientate» e «anteriori a tutte le epoche certe della storia» (p. 76). Del resto, non si poteva «fare a meno di sospettare che gli Egizi conoscessero la vera forma delle orbite dei pianeti» (pp. 75-76). Da idee come queste nascerà, nel corso dell’Ottocento, la ʽpiramidologia’ di Charles Piazzi Smyth.

In età giovanile de Maistre, traendo ispirazione dalla lettura dei testi di Boehme, Swedenborg e Martinez de Pasqually si era appassionato al sapere magico ed ermetico, e a discipline come l’alchimia e la cabala, che continuò a considerare le uniche scienze possibili, essendo le sole ad ammettere la possibilità del collegamento fra mondo materiale e mondo spirituale (si interessò molto anche al mesmerismo, una delle novità del suo tempo). Le moderne scienze sperimentali, invece, erano secondo lui completamente errate. Ad esempio, la nuova chimica di Lavoisier: «la scomposizione e ricomposizione dell’acqua» costituiva una di quelle «teorie oggi considerate dogmi», che egli si rifiutava di accettare: «sono incline a pensare che un bel giorno uno scienziato in buona fede verrà a insegnarci che su queste grosse questioni eravamo nell’errore o non riuscivamo a capirci» (p. 17).

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Tra i maggiori responsabili della diffusione delle scienze sperimentali c’erano ovviamente i protagonisti dell’Illuminismo, le cui idee erano assolutamente da evitare: «se vedete uno lanciato dagli enciclopedisti, tradotto da un ateo e lodato a dismisura dalla fiumana di filosofi del secolo scorso, potete star sicuri, senza ulteriori esami, che la sua filosofia è falsa e pericolosa, almeno nelle basi generali» (p. 346). Tenendo conto di tutto questo era inevitabile che le nuove scienze venissero ritenute estremamente pericolose per l’ordine politico e sociale: «Insegnate ai giovani la fisica e la chimica prima di averli impregnati di religione e di morale; inviate a una nuova nazione gli scienziati prima di inviarle i missionari, e vedrete i risultati» (p. 546). Tanto meno era auspicabile che il governo di una nazione fosse lasciato in mano agli scienziati: «In altri tempi gli scienziati erano pochissimi, e fra costoro pochissimi erano empi; oggi non vi sono che scienziati: sono una corporazione, una folla, un popolo, e fra loro l’eccezione, già triste un tempo, è diventata regola. Hanno usurpato un’influenza senza limiti in qualsiasi campo; eppure, se oggi vi è una cosa certa in questo mondo, è che non spetta alla scienza guidare gli uomini. Nulla di ciò che è necessario le è affidato; bisognerebbe aver perduto la retta ragione per credere che Dio abbia incaricato gli accademici di insegnarci ciò che Egli è e che cosa gli dobbiamo. Spetta ai prelati, ai nobili, ai grandi ufficiali dello Stato essere i depositari e i guardiani delle verità conservatrici, insegnare alla nazione qual è il male e qual è il bene, ciò che è vero e ciò che è falso nell’ordine morale e spirituale; gli altri non hanno diritto di ragionare su simili materie» (pp. 473-474).

Non sorprende quindi che de Maistre abbia progressivamente aderito alla teoria del complotto illuministico-massonico alla base della Rivoluzione francese, diffusa soprattutto grazie all’opera dell’abate Augustin Barruel nei Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme, pubblicati a Londra in cinque volumi nel 1797. Questo lavoro (che rappresenta, a detta di molti storici, l’atto di fondazione delle moderne teorie del complotto), sosteneva che numerosi aderenti alla massoneria, spostandosi sulle posizioni della setta radicale degli Illuminati di Baviera, fondata da Johann Adam Weishaupt nel 1776, contribuirono segretamente alla preparazione della Rivoluzione francese. Fra questi anche molti scienziati, come ad esempio Benjamin Franklin, maestro della Loggia delle Nove Sorelle. Secondo de Maistre, gli scienziati facevano senz’altro parte del complotto per destabilizzare l’ordine precostituito: «Gli scienziati europei sono in questo momento una setta di congiurati o di iniziati, o come preferite chiamarli, che hanno fatto della scienza una specie di monopolio e non vogliono che si sappia di più o diversamente da loro. Ma questa scienza sarà disprezzata fra breve da una posterità illuminata che giustamente accuserà gli adepti di oggi di non aver saputo trarre dalle verità che Dio aveva loro affidato le conseguenze più preziose per l’uomo» (p. 592). Come per ogni teoria del complotto, la spiegazione di de Maistre era consolatoria, ma ben lontana dalla comprensione della realtà.

Riferimenti bibliografici

  • M. Ciardi. 2010. Reazioni tricolori. Aspetti della chimica italiana nell'età del Risorgimento, Milano: Franco Angeli.
  • Z. Ciuffoletti. 1989. Il complotto massonico e la Rivoluzione francese. Antologia a cura di L. Di Stadio, Firenze: Edizioni Medicea.
  • A. Campi, L. Varasano (a cura di). 2016. Congiure e complotti. Da Machiavelli a Beppe Grillo, Soveria Mannelli: Rubbettino.
  • C. Francovich. 1975. Storia della massoneria in Italia. Dalle origini alla Rivoluzione francese, Firenze: La Nuova Italia.
  • J. de Maistre. 1986., Le serate di Pietroburgo o Colloqui sul governo temporale della Provvidenza, a cura di A. Cattabiani, Milano: Rusconi.

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