Non è colpa di Einstein

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Nel 1919 la Royal Society e la Royal Astronomical Society di Londra organizzarono due spedizioni scientifiche, coordinate dal celebre astrofisico Arthur Eddington. La prima nella giungla amazzonica, presso la località di Sobral, l’altra nell'isola di Principe, golfo di Guinea. Il 29 maggio, infatti, si sarebbe verificata in quelle località una eclissi totale di Sole. L’occasione ideale per fornire la prova sperimentale della teoria della relatività generale, formulata da Albert Einstein qualche anno prima (per la precisione lo scienziato tedesco completò la sua opera nel novembre del 1915). Einstein, infatti, aveva ipotizzato che lo spazio, in prossimità di una massa stellare, dovesse incurvarsi determinando la deviazione delle traiettorie dei corpi e anche della luce. Il fenomeno previsto dallo scienziato tedesco venne effettivamente osservato. Il 6 novembre 1919 le due società annunciarono congiuntamente che i raggi di luce erano stati deviati così come previsto dalla relatività generale.

Il giorno dopo la verifica della teoria il Times di Londra annunciò: «Rivoluzione nella scienza / Nuova teoria dell’universo / La concezione newtoniana demolita». Da quel momento, Einstein divenne lo scienziato più popolare di tutto il pianeta, non solo agli occhi dei suoi colleghi, ma per l’intera opinione pubblica: incredibile il numero di lettere che iniziò a ricevere da parte di persone (si va dagli studiosi ai bambini) desiderose di conoscere il suo pensiero sulle materie più disparate (cfr. il mio Albert Einstein e la misteriosa civiltà dell’Era Glaciale, in Query n. 17). Dovunque andasse, le sue conferenze risultavano degli eventi, le sue affermazioni una prelibata occasione per i giornalisti in cerca di articoli per le loro testate. E questo al di là dell’effettiva comprensione della sua opera scientifica. È nota la battuta attribuita a Charlie Chaplin, che invitò Einstein alla prima del suo film Luci della città, il 30 gennaio 1931 a New York: «Applaudono me perché mi capiscono tutti, lei perché non la capisce nessuno».

Anche se Einstein, come Marie Curie, non amava la popolarità, ed era assai critico nei confronti di ciò che la sua cara amica definiva «la spettacolarizzazione della scienza» (un fenomeno ai giorni nostri sempre più accentuato, e con molte conseguenze negative), cercò di farne buon uso, utilizzandola per appoggiare cause della massima importanza. Per questo motivo, quando Leó Szilárd lo convinse che la bomba atomica dovesse essere costruita prima che i tedeschi fossero stati in grado di realizzarla, Einstein, nonostante la sua fede pacifista (sulle varie fasi del pacifismo di Einstein ha ben scritto Pietro Greco), scrisse una lettera al Presidente americano Roosevelt il 2 agosto 1939: «Signor Presidente, la lettura di alcuni recenti lavori di Enrico Fermi e Leó Szilárd, comunicatimi sotto forma di manoscritto, mi induce a ritenere che, tra breve, l’uranio possa dare origine a una nuova e importante fonte di energia. Alcuni aspetti del problema, prospettati in tali lavori, dovrebbero consigliare all’Amministrazione la massima vigilanza e, se necessario, un tempestivo intervento. Ritengo quindi mio dovere richiamare la Sua attenzione su alcuni dati di fatto e suggerimenti».

Questa lettera è stata all'origine di uno dei tanti fraintendimenti che pesano sull’interpretazione della vita e delle opere di Albert Einstein (così come in rete si trovano tante frasi a lui attribuite, che tuttavia non ha mai pronunciato). Infatti, come gli storici hanno ampiamente dimostrato, non esiste alcun collegamento fra la lettera e l’avvio del Progetto Manhattan, al quale si cominciò a pensare solo due anni dopo, in circostanze ben diverse e sotto l’impulso di altre personalità della scienza e della politica. Un progetto, tra l’altro, di cui Einstein fu sempre all’oscuro.

Tale fraintendimento ebbe origine il 1° luglio 1946, quando il famoso settimanale Time dedicò la copertina ad Einstein, la cui figura campeggiava accanto a quella di un fungo atomico, sulla cui nuvola veniva riportata la formula E=mc2. Nell’articolo interno, non solo Einstein veniva presentato come il principale promotore dell'iniziativa politica che aveva condotto alla realizzazione dell’atomica, ma si stabiliva una precisa relazione di causa-effetto tra la celebre formula di Einstein, scritta per la prima volta nel 1905, e la costruzione delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente il 6 e il 9 agosto 1945.

Niente di più sbagliato. Infatti, «la formula di Einstein», ha scritto Vincenzo Barone (che ha dedicato un bellissimo libretto a questo argomento), «descrive solo il bilancio energetico di questi processi, non il loro meccanismo, né il modo in cui si svolgono. In altri termini, essa stabilisce in via del tutto generale che l’energia può essere prodotta anche a spese delle masse dei corpi, con un grossissimo fattore moltiplicativo dato da c2, ma non predice la fissione nucleare, né tantomeno la reazione a catena. Ciò che rende “teoricamente possibile” la bomba, insomma, non è E=mc2 (e la relatività), bensì la dinamica quantistica dei nuclei atomici».

A riprova di questo, possiamo prendere come esempio uno dei primi romanzi di fantascienza in cui venne ipotizzata una futura guerra atomica, The World Set Free (1914) di Herbert George Wells. In quest'opera Wells, oltre al personaggio di fantasia da lui inventato, il futuro scopritore del procedimento di liberazione dell’energia degli atomi, Holsten, fa infatti riferimento ad alcuni degli scienziati che, nel primo decennio del Novecento, studiarono il fenomeno della radioattività (scoperta da Marie e Pierre Curie nel 1898), ma non cita mai il nome di Einstein: «Il problema che era già stato affrontato all’inizio del ventesimo secolo da scienziati come Ramsay, Rutherford e Soddy, il problema di indurre la radioattività negli elementi più pesanti e di sfruttare così l’energia interna degli atomi, fu risolto da Holsten, grazie ad una prodigiosa combinazione di induzione, intuizione e fortuna, già nell’anno 1933. Dalla prima scoperta della radioattività al momento in cui venne soggiogata e sfruttata per i fini dell’umanità trascorse poco più di un quarto di secolo». Per ammissione dello stesso autore, fu proprio Soddy la sua principale fonte di ispirazione, in particolare grazie alla lettura del testo The Interpretation of Radium (1909), nel quale venne probabilmente utilizzata per la prima volta l'espressione “energia atomica”.

Prima di Wells, tuttavia, l’opera di Soddy aveva già attirato l’attenzione di un profondo e attento conoscitore della letteratura scientifica del tempo quale fu il chimico italiano Giacomo Ciamician, uno dei pionieri delle ricerche sull'energia solare: «La trasmutazione atomica è stata oggetto recentemente d’un brillante discorso di Frederick Soddy dal punto di vista dell’imponente fenomeno energetico ch’essa rappresenta: se all’uomo sarà dato realizzare un simile sogno, di giovarsi cioè dell’energia interna degli atomi, la sua potenza sorpasserà di gran lunga i limiti che ora gli sono assegnati».

Einstein riteneva che questo sogno fosse praticamente irrealizzabile e lo ribadì in più di un’occasione: «Non sono un profeta, ma sono sicuro (o quasi) che non sarà possibile convertire materia in energia a fini pratici». Come ha scritto Arthur C. Clarke, «è impossibile predire il futuro: ogni tentativo di farlo in maniera particolareggiata diventa ridicolo nel giro di pochissimi anni». E questo anche se si è lo scienziato più famoso di tutti i tempi.

Però di una cosa possiamo essere certi. Einstein con la bomba atomica non c’entra proprio niente.

Riferimenti bibliografici

  • V. Barone. 2016. Albert Einstein. Il costruttore di universi. Roma-Bari: Laterza.
  • V. Barone. 2019. E=mc2. La formula più famosa. Bologna: Il Mulino.
  • G. Ciamician. 1912. “La fotochimica dell’avvenire”, in Scientia, 12, pp. 348-363.
  • M. Ciardi. 2017. Marie Curie. La signora dei mondi invisibili. Milano: Hoepli.
  • A. C. Clarke, 1965. Le nuove frontiere del possibile (1962). Rizzoli: Milano.
  • P. Greco. 2012. Einstein aveva ragione. Mezzo secolo di impegno per la pace. Milano: Scienza Express
  • H. G. Wells, 1981. La liberazione del mondo (1914), in La guerra nell’aria e altre avventure, di fantascienza. Milano: Mursia, pp. 219-357.
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